Per Chi Ascolta: Hard Rock, Pretty
Maids, Europe, Fate
Con la stessa formazione di "Ghosts
From The Past" del 2011, i danesi Fate tagliano il traguardo
dell'ottavo album in studio a quasi trent'anni dalla loro nascita in
seguito allo split dai Mercyful Fate, in seguito a diverbi fra King
Diamond e il suo chitarrista Hank Sherman, ma oggi solo il bassista
Pete Steiner è rimasto quale originario membro della band.
Nonostante non abbiano mai avuto un
successo stratosferico, il nome dei Fate ha sempre avuto un suo
richiamo fra i fans dell'hard rock melodico e le aspettative ad ogni
loro uscita sono alte. Ebbene, "INFTD" è una raccolta di
brani che non delude, anche se inevitabilmente lo stile e lo spirito
sono ben diversi da quelli che animavano "A Matter Of Attitude"
(1986) ad esempio, tanto che già da tempo si sono levate voci a
chiedere con insistenza un cambio di nome, ma tant'è!
La partenza a razzo con "Reaping"
ci mostra una band tonica e viva che non lesina sulla pesantezza
delle chitarre e sul ritmo, con un hammond ad irrobustire il suono ed
un Dagfin Joensen (dalle isole Faroer) a pilotare con fare sicuro le
vocals, quindi ecco arrivare la più cadenzata ed ariosa titletrack
che non risparmia comunque energie. Entrambi i brani evocano lontani
echi dei Pretty Maids e ciò non è un male. I Fate si mettono ad e
l'hair metal americano con "Bridges Are Burning",
accattivante e potente come la scuola di fine anni ottanta
richiedeva, ma con le vivaci e più orecchiabili "Feel Like
Making Love" e "Gambler" si possono godere momenti dei
primi Fate mescolati ai White Lion di Mike Tramp, guarda caso danese
anche lui.
La ballad "Hard To Say Goodbye"
scorre lasciando una sensazione forte di incompiutezza ed inaugura
una serie di canzoni mediocri e poco ispirate come "Made Of
Stone", "Man Against The Wall" e "My World",
accomunate da una vena malinconica e drammatica. Le speranze di
riascoltare brani migliori vengono esaudite da "Turn Back Time",
magniloquente hard rock pomposo fra House Of Lords e primi Fate, le
cui brillanti atmosfere vengono assorbite da quelle più oscure di
"Taught To Kill" che cavalca i sentieri dell'heavy metal
freddo e crudele. Di tutt'altro tenore la conclusiva "Gimme All
Your Love", figlia dell'hard rock melodico e scanzonato degli
anni ottanta, fedele compagno dei momenti nei quali si vuole
ascoltare qualcosa che tiri su il morale.
Peccato per la citata caduta
qualitativa di quattro canzoni che contribuiscono negativamente alla
valutazione complessiva di un cd che, altrimenti, sarebbe stata più
alta. Nel complesso resta una buona esperienza da provare con ben
pochi rimpianti e mi sento comunque di fare i complimenti a Steiner e
soci, sicuramente per quanto riguarda la loro performance di
musicisti ed interpreti di questo canovaccio intitolato "If Not
For The Devil".
Stavo dimenticando di menzionarli per
cui rimedio subito: Torben Enevoldsen (ch – Section A, Fatal Force,
Decoy, etc), Mikkel Henderson (tast - Burning Kingdom, Seven Thorns,
Circus Mind), Jens Berglid (bt), Peter Steincke (aka Pete Steiner -
bs) e Dagfinn Joensen (vc).
ABe
Massima Allerta: evitate da Hard To Say
Goodbye a My World; il resto è buon divertimento e qualità
Pelo Nell'Uovo: ha ancora un senso
fregiarsi del monicker Fate?
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